sabato 27 gennaio 2018

[TRADUZIONE IN ITALIANO] MIYAVI × HIGHFLYERS Vol.2 INTERVISTA 2018 


Versione originale in giapponese e crediti :  highflyers.nu

Testo: Kaya Takatsuna / Foto: Atsuko Tanaka / Foto ritocco: Koto Nagaii
Traduzione inglese di Nicki A. (@uchiakebanashi)
Traduzione italiana  @ comyv Italian Fc


Dagli ostacoli affrontati alla Cerezo Osaka’s Junior Youth. Il momento in cui ha scoperto che la musica gli dava lo stesso entusiasmo del calcio. Quando ha imparato a suonare la chitarra. Quando se n'è andato a Tokyo fino a quando è diventato un artista solista.

Per la nostra seconda intervista con MIYAVI, gli abbiamo chiesto di parlare della sua infanzia fino al momento del suo debutto. Ha iniziato a giocare a calcio all'età di 7 anni e al fiorire del suo talento, venne selezionato durante il periodo delle scuole medie a essere membro della Cerezo Osaka’s Junior Youth. Sfortunatamente tutti i suoi sforzi furono invani perché dovette ritirarsi a causa di un infortunio. Il destino volle che MIYAVI si appassionasse così alla chitarra. Dopo l'improvvisa scomparsa di un suo coetaneo a cui era molto affezionato, fu spinto a lasciare casa per andare a Tokyo ed imbattersi nella band Dué le Quartz in una live house e venne invitato ad unirsi a loro. Sebbene la band andò avanti per 2 anni, il gruppo si sciolse per uno scontro di opinioni diverse. Così arrivò al suo debutto come solista. Dal suo incontro con la chitarra, l'asso di tempo dalle attività con la band a quelle da solista, MIYAVI ci dice la sua riguardo questi eventi.

Si trasferì a Tokyo dopo la morte di un amico. Dopo lo scioglimento della band, la sua prima esibizione da solista a Shibuya Town Hall fu un successo. Questi erano giorni in cui dovette fare i conti con la propria insicurezza.

Sei originario di Osaka. Com'eri da bambino?
Giocavo a calcio già dall'età di 7 anni. Ogni mattina mi svegliavo e giocavo a calcio prima di andare a scuola, durante la pausa pranzo e perfino dopo scuola fino a che diventasse buio. I miei genitori mi lasciavano fare quello che volevo e onestamente, quasi non ho mai avuto una fase di ribellione. Per quanto riguarda lo studio, penso di essere stato un bambino a cui piaceva imparare cose nuove. E come tutti tutti i ragazzi, ero interessato alle ragazze.


Il calcio era molto popolare in quel periodo, vero?
Si. Era nel periodo degli inizi della J-League. Mio padre all'inizio giocava a calcio e così dopo iniziai anche io, ma ne fui completamente preso quando venni scelto come capitano della squadra. Il momento in cui rincorrevo la palla e segnavo goal mi mandava letteralmente su di giri. La stessa sensazione che provo quando vengo ricoperto di applausi durante i live. Anche allora ero attirato da quella piacevole sensazione.

Dovevi essere davvero serio al riguardo, vedendo anche come eri membro del Cerezo Osaka’s Youth Team della J-League.
Il loro campo sportivo si trovava ad Amagasaki e dato che per arrivarci da casa impiegavo un'ora e mezza, appena finita la scuola correvo in stazione e mi cambiavo nel treno stesso. Facevo così e arrivavo comunque in ritardo. Inoltre, dato che è un campo per professionisti, ci sono le luci cosicché ci si può allenare fino a tardi. Finiti gli allenamenti, riprendevo il treno pieno di gente per ritornare a casa. Il giorno dopo andavo a scuola e così si ripeteva la giornata. Quando è così, non useresti anche tu il tuo tempo libero per dormire? Arrivai al punto che i miei amici iniziarono ad allontanarsi sebbene facessi ancora parte della squadra di calcio scolastica. Onestamente, è stata dura in quel periodo.

Le tue intenzioni erano quelle si diventare un professionista, entrando nel team della J-League
?
Si. Presi questa decisione proprio per diventare un professionista ma pian piano non riuscivo più a godermi il calcio. Quando ero in pausa dopo l'infortunio, cambiarono supervisore e cambiò anche tutto il resto. Non riuscivo più a tenere il passo e mollai tutto, anche emotivamente. Fino ad allora non avevo fatto altro che giocare a calcio, per cui quando smisi mi sentivo questo vuoto immenso dentro al cuore.

Sembra che quella sia stata la prima volta che tu abbia sentito un senso di frustrazione.
Immagino di si. È stato il mio primo ostacolo. Da lì io e i miei amici eravamo tipo "formiamo una band" e iniziò così. Afferrai per la prima volta una chitarra. Ricordo ancora chiaramente quando per la prima volta suonai Do Re Mi Fa Sol La Si Do con le mie mani impacciate. In quel momento, anche se ero solo un ragazzino, già potevo immaginarmi a esibirmi in un enorme stadio davanti a tantissime persone. Pensai "È questo ciò che voglio!". Dopodiché, iniziai a suonare la chitarra tutti i giorni pensando cose come "La chitarra mi aiuterà a cambiare?" o "La chitarra mi porterà da qualche parte nella vita?". Era entusiasmante e iniziai ad avere un po' di sicurezza in me stesso.


Da allora, come hai fatto a perferzionarti con la chitarra?
Suonavo costantemente da auto-didatta. È per questo che ho ancora qualche mancanza e francamente, coloro che hanno iniziato dalle basi sono un milione di volte più bravi di me. Comunque sia, non iniziai per diventare bravo, volevo solo colmare il vuoto che avevo nel cuore. Come quel vuoto era grande così ero consumato dal calcio. Sono uno a cui piace sorprendere e sconvolgere gli altri di natura. Per cui, poco a poco, attraverso la chitarra, desideravo entusiasmare e far battere i cuori di tutte le persone del mondo e così, condividere le stesse emozioni grazie alle mie esibizioni.

Quando suoni la chitarra, ti senti come se perdessi la concezione del tempo?
Si. Penso faccia parte della mia personalità. Fondamentalmente, quando si tratta di vestiti, cibo o anche di hobby, una volta che mi punto su qualcosa, mi ci focalizzo completamente. Anche quando si tratta di studiare una lingua o qualsiasi altra cosa, penso che non si smette mai di imparare.

Dopo aver messo mano sulla chitarra ed esserne completamente assorbito, qual è stato il primo passo affinché non diventasse solo un hobby ma qualcosa di cui vivere?
Ho iniziato a suonare a 15 anni, ma a 17 anni morì colui che mi mostrò il colore della musica. Lui non aveva sopracciglia, portava un taglio alla mohawk e aveva quest'aria inavvicinabile intorno. Era anche un tipo intransigente. Per me era come un fratello maggiore che mi ha permesso di ascoltare diversi generi di musica. Non mi è mai capitato di perdere qualcuno così vicino a me come lo era lui ed ero scioccato di come quell'esperienza e quel luogo mi siano sembrati dopo. Non volevo più stare lì così me ne andai a Tokyo.


Per cui, la morte di questo tuo "maestro" è ciò che ti ha spinto ad andare a Tokyo.
Lo decisi proprio quel giorno. Presi un autobus quella notte e arrivai alla stazione di Tokyo verso le 8 di mattina. Da lì, ci furono anche momenti in cui mi accampavo a dormire fuori. In quel periodo, dato che mi trovavo in quello stato, la live house mi accolse e lì conobbi molti amici. Diventai così membro della bandDué le Quartz. All'inizio non era mia intenzione farne parte ma i membri, che erano tutti 3-5 anni più grandi di me, mi diedero un caloroso benvenuto. Fu subito dopo la morte dell'amico che adoravo per cui, pensai che mi sarei sentito meglio con loro. 

E sei rimasto a Tokyo da quando sei diventato membro del gruppo.
Sono stato attivo nella band per due anni. Ho sempre pensato che saremmo potuti partire per il mondo se dovevamo farlo, ma era difficile condividere lo stesso punto di vista dei miei membri. Non solo nella band, ma anche nei gruppi e nelle corporazioni, credo che gli ideali siano la cosa più importante da avere dopo la coesistenza. Generalmente le persone hanno i proprio valori, ed è giusto voler rendere felici le persone di fronte a te, ma sopra a ogni cosa, sono dell'idea che sia significativamente importante avere uno scopo comune. Alla fine, sviluppammo diverse opinioni e ci dividemmo. Di conseguenza debuttai come solista.

Sai che significa sia stare in una band che essere solista, hai mai pensato cose come "Essere solista è meglio" o "È grandioso essere in una band"?
Entrambe le cose hanno i loro pro e contro. Da solista, tutto dipende da me, ed è dura, ma considerando che quando faccio qualcosa ci metto tutto me stesso, vale la pena farlo. In una band, avere due persone è meglio che averne 1 e 3 persone sono meglio di 2 per la chimica che potrebbe uscirne. In quel senso, essere in una band è divertente. Per quanto mi riguarda, sebbene lavori da solista, invece che fare tutto da solo, preferisco di gran lunga lavorare con molte persone incluso il mio staff e i produttori.

Nel periodo in cui suonavi nei Dué le Quartz, già c'erano i presupposti di diventare solista?
Dato che avevo molti fan che mi hanno supportato nei momenti difficili, iniziai a comporre pezzi per me appena subito si sciolse il gruppo. Per il mio primo spettacolo, mi sono esibito a Shibuya Town Hall, qualcosa che la band non riuscì a fare. Il secondo spettacolo fu all'aperto (a Hibiya Open-Air Concert Hall). La qualità era indiscutibilmente bassa, ma più di tutto avevo delle persone che mi aspettavano. Così continuai con molta voglia di fare e pensavo "Continueró il mio percorso anche se dovrò farlo da solo" e "Non importa in che modo, continueró a creare qualcosa che tratti di questo o quell'altro". Ripensandoci ora, penso si essermela cavata. 

Non avevi alcun dubbio quando debuttasti come solista?
Si, ne avevo. Fino ad allora, non ero mai stato così tanto al centro del palco e nella band non solo potevamo dividerci le responsabilità, ma se qualcuno non stava bene, qualcun altro riusciva a colmare le sue mancanze sul placo. Ma quando sei da solo, anche se hai dei membri che ti supportano dietro, tutto il peso resta comunque su di te. In tutto ciò, ero molto insicuro riguardo le mie doti canore. Sebbene dovessi gestire tutto da solo, in cambio ne ho guadagnato molto.

Un grazie speciale a @uchiakebanashi per la traduzione in inglese! 

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